L’origine della denominazione attuale delle note musicali
- Progetti Futuri
- 22 set 2020
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Uno dei prodotti dell’arte, sebbene tutti lo siano a proprio modo, più incisivi e diffusi oggi è la musica. Il sostantivo greco μουσική indica proprio quell’insieme variegato di regole che distribuisce i suoni e le pause in un determinato tempo e in un determinato spazio.
Racchiude in sé, come anticipato, le regole dell’arte, in quanto espressione dell’interiorità degli individui che la compongono e/o la interpretano, e della scienza, in quanto insieme di normative e tecniche. Per gli antichi non c’era una effettiva notazione musicale, almeno non come la conosciamo oggi, ma i suoni della scala diatonica erano indicati con le prime lettere dell’alfabeto. È in epoca medievale che compaiono testi da cantare muniti di neumi, ossia di quei segni che aiutassero a marcare e a ricordare la direzione della linea melodica.
L’introduzione del tetragramma la si deve a Guido d’Arezzo, monaco benedettino dell’Abbazia di Pomposa, e teorico della musica al quale si deve la definitiva sostituzione della notazione adiastematica.
La teorizzazione del tetragramma e dell’innovativo sistema di notazione si deve al trattato musicale Micrologus, che comprende anche insegnamenti di musica polifonica e di tecniche di canto gregoriano; particolarmente interessante da segnalare è la sezione nella quale l’autore si occupa del cosiddetto occursus, che si può definire un antenato della cadenza musicale: quando, infatti, due voci si uniscono all’unisono, ciò avviene per moto contrario da una terza maggiore o per moto obliquo da una seconda maggiore.

Fonte foto: italianicomenoi.it
La codificazione della notazione musicale arriva nel 1025, durante il periodo nel quale Guido d’Arezzo fu insegnante di canto nella Cattedrale di Arezzo.
Le note, come sono conosciute e utilizzate oggi nel mondo latino, hanno l’ormai universale denominazione: do, re, mi, fa, sol, la, si. È interessante sapere che il nome di ogni nota è tratto dalle sillabe iniziali dei versi dell’Inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono, dal titolo "Ut queant laxis", utilizzato per la festa del santo definito il protettore dei musicisti, prima di Santa Cecilia, e scritto, come era uso al tempo per la trattazione colta e per la documentazione ufficiale, in latino:
(LA)
«Ut queant laxis
Solve polluti
(IT)
«Affinché possano con libere voci cantare le meraviglie delle azioni
tue i (tuoi) servi,
cancella dal contaminato labbro il peccato, o san Giovanni»
Come possiamo notare, la prima nota, in questo sistema, si chiamerebbe UT e non DO; per ragioni eufoniche, infatti, la sostituzione è stata proposta e operata successivamente dal teorico della musica Giovanni Battista Doni, che si ispirò alla sillaba iniziale del proprio cognome.
L’apporto di Guido d’Arezzo fu fondamentale anche per la solmisazione, ossia una forma ancestrale di solfeggio e per l’invenzione dell’antenato del pentagramma, il già citato tetragramma che aveva, per l’appunto, quattro righe e non cinque.
Oggi è possibile trovare in diverse parti d’Italia intitolazioni al Monaco della musica: piazze, statue, bande musicali cittadine, una fondazione che organizza dagli anni Cinquanta un concorso polifonico, e che ne porta il nome, e persino un cratere sulla superficie del pianeta Mercurio.
A cura di Sabrina Mangano
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