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Alla scoperta di se stessi nel ventre nudo dell’Africa

Recensione del racconto “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad


Cuore di tenebra è un racconto dello scrittore Joseph Conrad, pubblicato nel 1919 in lingua inglese che ruota intorno alla storia, narrata da Charles Marlow, della risalita del fiume Congo, alla ricerca di un uomo di nome Kurtz.

Il tema del viaggio in mare risulta ricorrente in Conrad, il quale navigò sin dal 1874 nella Marina Mercantile Britannica, servizio grazie al quale riuscì ad acquisire la cittadinanza inglese. Il primo periodo dell’autore polacco-britannico parte nel 1895 con La follia di Almayer e Il reietto delle isole: storie dalla trama simile, con protagonista un bianco che vive nell’arcipelago malese; il secondo si inaugura nel 1900 con Lord Jim e successivamente Tifone; nel terzo, invece, dal 1907, osserviamo, in opere come L’agente segreto e Sotto gli occhi dell’occidente, soggetti a sfondo politico e, con Freya delle sette isole, il ritorno dell’amato tema esotico.


Cuore di tenebra, opera nella quale vedo una minima parvenza del genere d’avventura nel quale è sovente collocato, comincia con una raffigurazione dell’intensa vita dei marinai, tra i quali esiste il vincolo del mare che riesce da sempre a far sì che si instauri un rapporto di comprensione reciproca che sfocia nel momento, accerchiato da un’aura di intimità, del racconto delle diverse mirabolanti storie. Sin dalle prime pagine, è possibile notare una forte connotazione anti-colonialista, in un’epoca nella quale le potenze mondiali si distribuivano pezzi di terra incontaminata, dai diversi continenti, riempiendo continuamente nuovi spazi sulle mappe.

I colonizzatori vengono descritti sin da subito, in toni forti e sarcastici, come gente avida d’oro o in cerca di fama […] con la spada e la fiaccola, messaggeri della potenza di questa terra, e l’occupazione diventa, in una critica mordace e mai celata, la nobile causa.



Le storie raccontate dai marinai sono paragonate al gheriglio di una noce per la semplicità; quelle di Marlow, tuttavia, parevano trascendere questa definizione e incastonarsi in un contesto diverso, illuminato e sorprendente. Nel silenzio generale, Charles Marlow racconta di un viaggio, tra gli altri, che lo colpì particolarmente e riesce, con la propria passionalità, esperienza e doti oratorie, a tenere sull’attenti gran parte degli uomini dell’equipaggio. Peculiare persino ciò che precedette la partenza sul battello a vapore diretto nel cuore dell’Africa: il narratore non riesce a spiegarsi infatti perché, nella visita preliminare, il dottore misuri le dimensioni del cranio; si tratta di un interesse scientifico che si rivelerà premonitore, la domanda è stata già posta, anche se velatamente: cosa spingerebbe un uomo cosciente a voler intraprendere un viaggio così rischioso nell’oscurità misteriosa di un continente inesplorato, popolato da genti sconosciute e probabilmente pericolose?

La missione principale del coraggioso – o incosciente, secondo i punti di vista – lupo di mare è quella di recuperare il Signor Kurtz, un agente di prima classe, responsabile di una importante base commerciale nella zona dell’avorio. Kurtz viene definito diverse volte notevole, dotato di un grande senso pratico e di un metodo proprio, e a quanto pare utile, nel trattare con i selvaggi, che definiva facili da avvicinare, per l’uomo bianco, con la potenza di una divinità.

Persino quelli che erano stati derubati da Kurtz di una quantità di avorio nutrivano per lui un rispetto e una venerazione maniacale, come gli autoctoni, impauriti dalla forza travolgente di quell’uomo che aveva dei disegni ben definiti ed intendeva ad ogni costo portare a compimento i propri piani.

Nel lento e difficoltoso incedere del battello, avvolto in una fitta coltre di nebbia, Marlow e il resto dell’equipaggio subiscono un attacco dagli indigeni nascosti nella folta boscaglia, che si rivelerà essere stato ordinato dallo stesso Kurtz, il quale non voleva in alcun modo essere riportato indietro. Chiaramente, l’atteggiamento di Conrad risulta pungente in tutto il racconto: la forza è solo un evento fortuito che deriva dalla debolezza altrui.


Immaginiamo la descrizione sublime della natura più fitta e inesplorata che si richiude, come una pianta carnivora, su chiunque osi addentrarvisi; il cuore di tenebra prende la forma dell’animo umano, denudato delle certezze di ciò che è noto, e diventa simile alle viscere dell’Africa, ignota e dunque ostile, popolata da genti violate nel profondo per la brama del potere del mondo dei forti. In quest’ottica, il personaggio di Kurtz incarna perfettamente la classica superpotenza, con un progetto da portare a termine a discapito della parte debole coinvolta, suo malgrado. Reputo Cuore di tenebra una critica coraggiosa agli appetiti famelici e pericolosi dell’uomo, disegnato come un saccente cannibale sempre in cerca di qualcosa in cui conficcare i denti. Kurtz impersona il destino dello strapotere e dell’abuso: muore, in una lucida e spaventosa follia, punito da quella terra incontaminata che voleva soggiogare ma di cui sottovalutò la potenza che lo costrinse a guardarsi dentro, annientato dalla solitudine e dal boato assordante del vuoto di ciò che non si conosce. Le sue ultime parole, sussurrate prima saltare l’ultimo precipizio di ogni essere vivente, furono: “L’orrore! L’orrore!”.


Risalire quel fiume era come viaggiare indietro ai primordi del mondo,quando la vegetazione tumultuava sulla terra e alberi enormi ne erano i signori. Un fiume vuoto, un grande silenzio, una foresta impenetrabile. L’aria era calda, spessa, pesante. Non c’era gioia nello splendere del sole. […] Non potevamo capire perché eravamo troppo lontani. E non potevamo vedere perché camminavamo nella notte dei tempi, di quei tempi ormai scomparsi senza quasi lasciare traccia.

 

A cura di Sabrina Mangano

 
 
 

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