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Notte, Luigi Pirandello (Saggio breve)

Novelle per un anno è il titolo di una raccolta, il cui corpus non è da definirsi costruito rispettando un ordine cronologico esatto, che comprende 246 racconti scritti durante l’intero arco creativo dell’autore Luigi Pirandello, tra il 1884 e il 1936.

Per il lungo arco temporale nel quale sono stati scritti, i racconti non propongono un criterio stilistico e tematico uniforme.

Novelle per un anno resta, secondo la critica, uno dei migliori esempi di narrativa italiana e molti racconti hanno visto una trasposizione teatrale di successo, con attori, didascalie e adattamenti curati dallo stesso Pirandello; tra le altre annoveriamo Pensaci, Giacomino!; Così è (se vi pare), tratto da La signora Frola e il signor Ponza, suo genero; L’uomo dal fiore in bocca, tratto da La morte addosso.

È possibile, malgrado la varietà del prodotto contenuto nelle Novelle per un anno, notare una definizione ben marcata tra due cornici principali e dunque tra i personaggi che ne sono contenuti: da un lato c’è il definito, il confine ben stabilito, con un centro chiaro; dall’altro la dispersione e la discontinuità. E ancora la campagna, gli elementi naturali che sanciscono leggi immutabili e indecifrabili con l’acqua e la terra, che hanno funzione liberatrice e di riscatto sociale, e la città che si configura come spazio ostile, luogo di dispersione e alienazione, soprattutto per la presenza della piccola borghesia, che incarna perfettamente la precarietà e la degradazione.


La novella che voglio proporvi si intitola Notte; pubblicata per la prima volta nel 1912 su Il Corriere della Sera. Il personaggio principale è un professore, di nome Silvestro Noli, che dalla futurista e dinamica Torino si trasferisce in un piccolo paese dell’Abruzzo, dove contrae un matrimonio dal quale nasce un figlio, probabilmente per soddisfare quell’umano e inconscio bisogno d’affetto e di vicinanza che non era riuscito a trovare in altro modo. La speranza di vivere una vita piena si rivela ben presto un’illusione ed è in un momento di attesa forzata in una piccola stazione che arriva la presa di coscienza della propria pungente sconfitta, della perdita di ciò che era autentico e sentito, ormai vivo solo nel ricordo; alla luce fioca di una lucerna ad olio, il professor Noli pensa alla propria vita e ricalca la malinconica memoria della città natale, che l’ha visto giovane e felice, della casa paterna e si sofferma sul ricordo della propria madre che probabilmente non avrebbe visto mai più e che in passato, dopo sette anni di assenza, aveva ritrovato curva, rimpicciolita, come di cera […] Gli occhi soli ancora vivi.

Aveva l’impressione di aver lasciato lì la vita, eppure la sua lontananza aveva avuto effetti devastanti anche sui genitori i quali paradossalmente pensavano che quella vita, che adesso aveva lasciato il posto a un gelo di morte, l’avesse portata via con sé proprio il figlio, andando via, prima in Calabria per lavoro e poi in quel piccolo angolo d’Italia, così lontano dal Piemonte. Era lì che aveva cominciato a funghire, ossia a vegetare come un fungo, ad aspettare, in quell’orrenda solitudine, che lo spirito a poco a poco gli si vestisse d’una scorza di stupidità.

Tra questi pensieri, scrutando impotente l’impronta del proprio viso sul fazzoletto utilizzato per asciugare le lacrime, diventata in questo senso la maschera di una vita perduta che si sfalda in gocce salate, che avviene l’incontro con la signora Nina, giovane vedova di un collega, che fremeva in tutta la misera personcina nervosa a pareva andasse a sbalzi e che piangeva raccontando la propria storia: Ho qui, perpetuo, qui, un dolore, come un rodìo, un tiramento, qui, al cervelletto […] sono come arsa dentro… come un ffuoco in tutto il corpo.”

Noli comprese lo stato di disperazione di quella donna, giovane vedova e madre, e il fatto che si sarebbe aggrappata a qualsiasi uomo per sfuggire a quel destino, ma quando le disse di essere già sposato e con un figlio la donna gli lasciò il braccio e si allontanò di un passo. Bastarono poche parole e qualche sguardo: […] e si guardarono e si compresero.

È questo il momento della vera presa di coscienza, del bisogno di guardare in faccia la propria sorte, nuda, stavolta in due e provando umana compassione l’uno per l’altra.

La parte finale della novella si scioglie nella mistificazione: l’infelicità evaporava, la sofferenza, la disperazione dei personaggi ormai si era posata su tutto ciò che li circondava, sulle vetture ferme nelle stazione, sul piccolo caffè, sui binari, sulle lampade ad olio ed era diventata di tutti.

Il dolore diventa cosmico, universale, trascende la loro classe sociale, la piccola borghesia: una falsa rassicurazione. Egli si sentì tutto ripreso dalla miseria abituale della sua casa vicina, ove tra poco sarebbe arrivato: la rivide, come se già vi fosse, con tutti i suoi colori, in tutti i suoi particolari, con entro la moglie e il suo piccino.

Notte si conclude, i personaggi ritornano alle proprie vite.

Nel più profondo recesso della loro anima il ricordo di quella notte s’era chiuso; forse, chi sa! per riaffacciarsi poi, qualche volta, nella lontana memoria, con tutto quel mare placido, nero, con tutte

quelle stelle sfavillanti, come uno sprazzo d’arcana poesia e d’arcana amarezza.

 

A cura di Sabrina Mangano


 
 
 

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