Dino Campana: Il poète maudit italiano
- Progetti Futuri
- 3 ago 2020
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Aggiornamento: 11 ago 2020
Dino Campana, nato a Marradi in provincia di Firenze, è stato probabilmente il poeta italiano che ha ricalcato meglio il modello di poeta maledetto francese. Fu, senza ombra di dubbio, un personaggio molto particolare della letteratura italiana, che ha interpretato la poesia come esperienza visionaria, totalizzante, onirica ed unica fonte rivelatrice del mistero e della correlazione segreta tra le cose e il mondo e tra le cose stesse, alla stregua di Orfeo che riusciva ad ammansire le bestie più feroci con la propria musica.
L’esperienza letteraria di Campana verte sul vagabondaggio e il nomadismo - dei quali fece esperienza diretta per molti anni - sulla degradazione, la solitudine, l’allucinazione e la rovina; la ricerca, infatti, protagonista di qualsiasi forma d’arte, si tramuta in ricerca ossessiva, allucinatoria, in un viaggio che è al limite tra il reale e l’onirico.
Malgrado la forte connessione con Mallarmè, Baudelarie e soprattutto Rimbaud, in Campana sono riscontrabili importanti influenze carducciane e dannunziane, ma anche riferibili a Cavalcanti e Dante; il tema del viaggio, che ricorre frequentemente nella sua opera, lo avvicina particolarmente a quest’ultimo: il viaggio, prima di essere orizzontale e fisico, mezzo per il raggiungimento della libertà, è un viaggio verticale che permette, attraverso la discesa e il declino, di raggiungere realtà elevate ed illuminate.

Straordinariamente, in Campana coesiste una duplice e quasi ossimorica naturaartistica: quella visiva, per le idee relative al progresso e alla modernità del Futurismo, e quella visionaria, per la vicinanza a Leonardo, all’arte toscana e a De Chirico.Allo stesso modo, la critica lo colloca vicino al Simbolismo e all’Espressionismo: dalla prima corrente eredita la convinzione che l’arte sia un mistero, un messaggio e che riesca a carpire i lati più celati della realtà; alla seconda, invece, è vicino per gli episodi di allucinazioni improvvise , frequenti nell’artista, e per una fantasia da definirsi onirica.
I nodi di connessione con Rimbaud sono molteplici e indiscutibili: il poeta francese cercò nel viaggio la propria via di fuga, raggiunse l’Africa, abbandonò ad un certo punto la poesia, allontanandosi dal mondo cosiddetto civile, fonte di alienazione e oppressione; Campana viaggiò per l’America Latina, visse e lavorò in Argentina, non abbandonò mai la poesia ma venne sopraffatto dalla propria esperienza poetica che lo condusse alla follia e alla solitudine fino alla morte in manicomio. La più importante opera di Campana è intitolata Canti Orfici ed è una silloge in prosimetro composta nel 1913, che in origine era intitolata Il più lungo giorno, il cui manoscritto autografo fu ritrovato, dopo essere andato perduto, solo nel 1971; tuttavia, l’autore la riprodusse a memoria per pubblicarla autonomamente nel 1914. Particolarmente emblematico il componimento La Chimera, nel quale la protagonista è un’enigmatica figura femminile, non riconducibile al mostro mitologico, ma piuttosto ad una presenza arcana, velata di mistero e suggestione. […] Guardo le bianche rocce e le mute fonti dei venti/ E l’immobilità dei firmamenti/E i gonfi rivi che vanno piangenti / E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti / E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti/ E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
Notiamo i riferimenti concreti: bianche rocce, gonfi rivi, lavoro umano e il loro graduale dissolvimento nell’espressionismo delle immagini: teneri cieli, chiare ombre, ombre del lavoro.
Nel verso lungo libero e nella tendenza narrativo-discorsiva di Campana,in contrasto con lalogica del frammento dei contemporanei, è importante porre attenzione all’aggettivazione che è classica ed è connessa al reale ( es. bianche rocce); in altri casi viene inevitabilmente meno il nesso logico e semantico e vengono proposte immagini di grande forza espressiva (teneri cieli, chioma musicale).
Ondulava sul passo verginale/ Ondulava la chioma musicale / Nello splendore del tiepido sole/ Eran tre vergini e una grazia sola / […] (Tre giovani fiorentine camminano, inedito pubblicato nel 1924. Quella di Dino Campana fu un’infelice storia di vita, venne ricoverato in manicomio per la prima volta nel 1906 ma venne dimesso dopo poco tempo e poi rinchiuso definitivamente, nel 1918 per l’aggravarsi di una malattia mentale sulla quale ad oggi ci sono ancora tanti dubbi; persino l’esperienza dell’amore, vissuta con Sibilla Aleramo, non riesce a strapparlo alla propria arte che finisce per ingurgitarlo.
A cura di Sabrina Mangano
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